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IL TAGLIO MIGLIORE È QUELLO CHE NON SI VEDE

Come ogni inverno arriva quel momento in cui le municipalità decidono di avviare i lavori di potatura del proprio patrimonio arboreo. Tali lavori sono affidati, se si tratta di grandi città, a servizi interni al comune, se invece si tratta di piccole realtà, agli enti che hanno vinto le apposite gare di appalto. Il risultato, spesso in entrambi i casi, sono alberi capitozzati. Pontedera non è da meno ed ha iniziato da qualche settimana i lavori di potatura del proprio patrimonio arboreo, con risultati che parlano da soli.


Figura 1 e 2: Potature in Piazza Vittime dei Lager Nazisti.

Piazza Vittime dei Lager Nazisti è vicino la nostra sede in via Fiumalbi e la potatura degli alberi di questa piazza è avvenuta il 31 gennaio 2023. Le due foto sopra riportate non mostrano un prima-dopo, ma rappresentano due alberi di piazza Vittime dei Lager Nazisti dopo la potatura. Abbiamo scelto queste due foto da noi scattate, per sottolineare che le potature sono spesso fatte senza alcun criterio. Perché l’albero di sinistra è stato capitozzato, mentre l’albero rappresentato a destra non ha subito lo stesso trattamento? Con quale criterio si decide che un albero deve essere capitozzato e un altro invece no? Questo dovrebbe far riflettere sulla professionalità di chi effettua le potature dei nostri alberi.

Ma vediamo che cosa è la capitozzatura, pratica giustamente demonizzata dagli esperti ai lavori.

La capitozzatura è il taglio indiscriminato del fusto e delle branche di un albero, spesso giustificata con le frasi “l’albero era troppo alto”, “l’albero era pericoloso” oppure “almeno l’albero si rinforza”. Ma questi tagli spesso rendono l’albero ancora più pericoloso e indebolito. Vediamo i motivi.


Figura 3: alberi capitozzati in viale Rinaldo Piaggio.    

Quando si effettua un taglio importante ad una branca, l’albero risponde attivando, nella primavera successiva, le gemme definite ‘avventizie’. Queste gemme, in risposta all’importante perdita di materiale vegetativo, generano molti rami cercando di recuperare. Ahimè l’inserzione di questi rami sulla branca risulta essere molto debole e con il passare degli anni questi rami vanno a costituire un pericolo. Se poi il taglio effettuato risulta essere di discrete dimensioni (8-10 cm), l’albero non sarà capace di “cicatrizzare” la ferita attraverso l’azione naturale del collare di abscissione, posto alla base di ogni ramo. La ferita non cicatrizzata funge da porta per tutti quei patogeni (funghi, batteri e insetti) che renderanno ancora più debole la branca. Cosa abbiamo ottenuto? Molti rami e quindi

molto peso, posti su una branca con marciumi o cavità interne. É semplice capire che questa situazione non è sicura. Per mettere in sicurezza le branche capitozzate da cui si sono originati molti rami, sono poi necessari ripetuti interventi di potatura, portando così all’aumento dei costi di gestione.

La cura degli alberi in ambiente urbano deve passare dalle mani di persone formate, persone che siano consapevoli dell’importanza degli alberi in città e che sappiano che il taglio di ritorno è il giusto metodo di potatura. Il taglio di ritorno consiste nella potatura della parte terminale di un ramo o una branca con un taglio immediatamente al di sopra di un altro ramo di dimensioni paragonabili e con andamento similare a quello tagliato, in modo che questo possa fungere da punta di sostituzione (tiralinfa).

Figura 4: Esempio di taglio di ritorno (fonte: Taglio di ritorno: tecnica base di potatura, illustratrice Giada Ungredda )

È triste vedere che l’Italia è ancora così indietro sul verde urbano, quando paesi vicino al nostro hanno molta più sensibilità. Le istituzioni provano a risolvere il problema, con regolamenti e norme comunali, ma poi non verificano che queste siano messe in atto. Forse una giusta strategia è la sensibilizzazione dei cittadini, in modo che non siano soltanto gli addetti ai lavori o gli appassionati a chiedere spiegazioni e giustizia per il modo in cui il nostro Verde Urbano viene gestito, ma bensì un gruppo ben più ampio di persone.

E ricordate: la potatura giusta è quella che non si vede.

PRENDERSI CURA DEGLI ALBERI PER SALVARE IL CLIMA

Il 21 novembre si celebra, ormai da molti anni, la Giornata Nazionale degli Alberi per diffondere il rispetto e l’amore per la natura e per la difesa degli alberi, strumenti fondamentali per la lotta al cambiamento climatico.

Ci sono due modi di contrastare l’inquinamento da carbonio a livello planetario, il primo è quello di ridurre l’uso di combustibili fossili, lasciare sottoterra dove stanno petrolio, gas e carbone e contemporaneamente affidarsi alle energie alternative. Su questa strada gli Stati stanno procedendo con lentezza esasperante, ma i pochi risultati che si sono ottenuti sembrano vanificati dalla follia della guerra che ha riportato indietro le lancette della storia. Secondo gli scienziati non c’è più tempo, abbiamo superato il tipping point, il punto di non ritorno e questo ci pone nuovi problemi e nuove risposte. Si riscopre in particolare il ruolo delle piante, che rappresentano il secondo metodo per “decarbonizzare” l’atmosfera. Gli alberi assorbono anidride carbonica e producono ossigeno, per questo dobbiamo aumentare la copertura vegetale, nelle foreste e in ambito urbano. Ogni città deve realizzare spazi verdi, meglio se strutturati e connessi tra loro come infrastrutture verdi e corridoi ecologici, deve cioè rafforzare il suo patrimonio vegetale.

Piazza Andrea da Pontedera, Pontedera (foto Legambiente).
Piazza Giuseppe Garibaldi, Pontedera (foto Legambiente).

I benefici del verde urbano infatti sono molteplici. La vegetazione in città, oltre a ridurre la quantità di CO2, riesce ad abbattere il contenuto di polveri sottili nell’aria. Può svolgere funzioni di barriera acustica e può rappresentare una vera e propria casa per la fauna locale, promuovendo quindi la biodiversità. Mai come in questi anni abbiamo bisogno del verde urbano come elemento per la lotta ai cambiamenti climatici. Le piante e soprattutto i tetti verdi, con la propria struttura e la propria chioma riescono infatti a diminuire la velocità di scorrimento dell’acqua piovana, andando a contrastare precipitazioni sempre più abbondanti in tempi sempre minori. La vegetazione urbana riesce infine a combattere l’isola di calore estiva nelle città. È dimostrato infatti che la differenza di temperatura fra un’area verde e un’area completamente priva di vegetazione, il cosiddetto canyon urbano, si aggira fra i 2°C e gli 8°C. Perciò, in qualche modo viene un po’ mitigato l’effetto degli split dei condizionatori.

La Toscana sta investendo nel verde urbano, grazie a fondi regionali ed europei, ma come vanno le cose a livello locale? Ciclicamente si accende la discussione, da una parte quelli che avvertono come una ferita l’abbattimento dei vecchi alberi di città, dall’altra quelli che mettono in primo piano la sicurezza e l’incolumità dei cittadini. È così che si prendono decisioni dettate dalle emergenze del momento ed interventi estemporanei di architetti ed urbanisti che lasciano molto a desiderare. Siamo favorevoli o contrari all’abbattimento dei pini in Piazza Garibaldi, quella che è conosciuta appunto come Piazza dei Pini? L’abbattimento dei pini e dei cedri in piazza Andrea da Pontedera ha trasformato una piazza piena di vita e di bambini che giocavano, in un deserto. Sono stati tagliati i pini della stazione, ma senza compensazioni, così in viale Piaggio, in via Dante e in altri luoghi della città. Si possono anche abbattere alberi malati o senescenti, ma rispettando un giusto e tempestivo piano di sostituzioni. La risposta non va delegata ad un singolo esperto, ma deve emergere da un serio approfondimento.

Per dare risposta al problema c’è già uno strumento fondamentale, non ci si deve affidare al carosello delle opinioni ma si deve semplicemente applicare la legge. Riguardo il verde urbano è in vigore la legge n.10/2013 (norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani). La norma, che ha l’obiettivo di aumentare il verde nei centri urbani, prevede che siano tutelate le aree verdi esistenti e le piante monumentali, prevede l’istituzione del catasto arboreo, quindi censimento e classificazione del patrimonio arboreo e l’obbligo di piantare un albero per ogni nuovo nato. Tale obbligo è monitorato con il ‘bilancio arboreo’, strumento per il quale i sindaci, a due mesi dal fine mandato, devono rendere noto il saldo tra il numero degli alberi già esistenti e quello delle nuove piantumazioni.

Da sottolineare che il censimento del verde è lo strumento fondamentale alla base del Regolamento del verde e del Piano comunale del verde. I tecnici redigono il Piano di manutenzione del verde, il Piano di gestione del rischio delle alberate e il Piano di rinnovo delle alberate.

Proprio in virtù di quanto detto sinora, anche gli interventi di capitozzatura degli alberi, che lasciano strade e piazze completamente prive di copertura verde, appaiono del tutto irrazionali e peggiorano sicuramente la qualità dell’ambiente e della vita nelle città. Tale pratica infatti è vietata dalla sopracitata legge, anche se purtroppo nelle nostre città, se ne continua a farne grande uso.

Pontedera, in quanto città con più di 25.000 abitanti, si è già dotata di un censimento del verde di Livello 2, che prevede la creazione di un catasto arboreo, con specifiche di ogni albero. Quello che ulteriormente chiediamo, è il semplice rispetto delle normative, che si controlli e si programmi la manutenzione delle piante, che si valorizzi e si protegga il verde urbano già esistente, senza dover assistere a quegli scempi, a cui da ormai troppi anni siamo abituati ad assistere.

COLTANO FRA NATURA, PAESAGGI E AGRICOLTURA

I TANTI PERCHÉ DEL NOSTRO NO ALLA BASE MILITARE

La costruzione della ipotizzata base militare di Coltano sottrarrebbe decine di ettari di terreni ottimi, che attualmente risultano coltivati con tecniche biologiche, in un’area che vede una percentuale di superficie
dedicata al biologico estremamente elevata (il 30% circa) e che trova poche analogie nel territorio regionale.
In un contesto di crisi come quello in cui ci troviamo e nel quale voci autorevoli stanno paventando il verificarsi di una possibile scarsità di derrate alimentari nei prossimi mesi, la produzione di cibo, soprattutto
di qualità, è una questione che assume una sempre maggiore rilevanza. L’importanza di queste produzioni va contestualizzata anche in vista di un’auspicabile riduzione della dipendenza dall’import estero. Inoltre,
proprio per il fatto che Coltano si caratterizza per questa forte presenza di produzioni biologiche, diminuirne tale peculiarità comprometterebbe uno dei compiti principali del Parco, e cioè quello di favorire tecniche
agricole rispettose della naturalità dei luoghi e moltiplicatrici di servizi ecosistemici per il territorio.
Oltre all’aspetto produttivo, anche i paesaggi agrari, con un’alternanza di campi, boschi e siepi, collegati da grandi viali, spesso arricchiti da spettacolari alberature, costituiscono un valore importante e originale di
Coltano rispetto alle altre pianure agricole della nostra regione e di tutto il Paese, che spesso si caratterizzano per paesaggi uniformi, semplificati e che hanno perso quasi ogni caratteristica di naturalità. Va evidenziato inoltre che questa preziosa trama rurale, al margine delle superfici boscate, costituisce un ecotono di enorme valore paesaggistico e naturalistico, scrigno insostituibile per molte specie d’interesse conservazionistico.
Ciò che contraddistingue, infatti, Coltano e che forse non è ancora di pubblico dominio è la presenza di una elevata biodiversità in ambiente agrario, elemento che sta diventando sempre più uno degli obiettivi
(pilastri) delle politiche comunitarie in campo agro/ecologico, in ragione proprio della progressiva perdita di biodiversità negli ambienti coltivati con modalità tradizionali e intensive in tutta Europa. Al riguardo, gli studi
più recenti sul declino degli insetti e degli uccelli nei Paesi della UE, hanno individuato proprio nei territori intensamente coltivati, la maggior perdita di specie. Non solo. Pur con una funzione agricola prevalente, Coltano ospita ancora un insieme di aree boscate di elevato valore naturalistico, in prevalenza latifoglie, che sono la testimonianza delle più estese foreste che popolavano le nostre pianure nei secoli passati, insieme a zone umide che seppur di limitata estensione (e talvolta con allagamenti limitati al periodo invernale e primaverile), ospitano un insieme di piante, uccelli, anfibi e rettili, macro/invertebrati (farfalle, libellule, coleotteri), ribadiamo: di grande valore conservazionistico.
Nelle aree boscate più integre, ma anche e soprattutto negli immediati dintorni delle poche aree urbanizzate, come fuori dal recinto dell’Ex Centro Radar, si possono osservare specie e fitocenosi interessanti che danno piena testimonianza di una naturalità diffusa. Molte di queste specie sono documentate in studi dell’Università di Pisa, nel Piano di Gestione dei boschi della Tenuta (2009-2018), negli studi del Centro
Ornitologico Toscano per quanto riguarda l’avifauna, e, più recentemente, anche del Comitato per la difesa di Coltano che ha documentato in maniera approfondita l’importanza della Tenuta per il birdwatching. Ad esempio, sia in alcune aree non interessate dall’attività agricola, sia all’interno e sulle sponde dei canali di bonifica, sono presenti specie igrofile importanti. In questi ambienti, aree umide spesso anche di ridotte dimensioni con piccoli canneti e alberature ripariali, ospitano uccelli, pesci e rettili legati agli ambienti acquatici che, tanto a livello regionale quanto nazionale, risultano sempre più minacciati, sia per quanto riguarda la superficie occupata, sia in relazione alla qualità del loro stato di conservazione. Proprio per la presenza di questi preziosi elementi di naturalità, che convivono finora armonicamente con le attività agrosilvopastorali, si ritiene che in presenza di un eventuale o parziale regresso di tali pratiche rurali, possa plausibilmente verificarsi – senza choc ecologici – un processo spontaneo di rinaturalizzazione. Alla luce di ciò, si ritiene, inoltre, che eventuali interventi di “habitat restoration”, mirati a ricreare ecosistemi naturali capaci di ospitare specie di animali e piante di interesse conservazionistico potrebbero essere coronati da successo.
Risulta così di tutta evidenza come Coltano presenti tutte quelle caratteristiche e peculiarità per poter consolidare e sviluppare le proprie componenti naturalistiche, con interventi da realizzare col pieno accordo degli agricoltori, cercando, ad esempio, di cogliere l’occasione che si verificherà con la pubblicazione dei prossimi bandi comunitari. Non solo per ripristinare alcuni habitat degradati e migliorare quelli esistenti, ma anche e soprattutto ricreare, ove possibile, boschi planiziali e zone umide fondamentali per la conservazione della natura nel Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli. Diversamente,
riteniamo verosimile che lo stravolgimento degli agroecosistemi che si verificherebbe a seguito della scellerata costruzione della base militare costituirebbe un ostacolo insormontabile per la tutela e
rinaturalizzazione di Coltano.
Infine, l’ambientalismo scientifico non può dimenticare il grande tema della fruizione. Se questi interventi si accompagneranno, infatti, al miglioramento della rete sentieristica, da sviluppare utilizzando la viabilità rurale esistente compatibilmente con le emergenze biotiche, evitando al contempo la realizzazione di strutture pesanti in asfalto, cemento o altro (strade bianche e strade inerbite, sentieri interni alle aree boscate, margini dei campi percorribili), sarà possibile sviluppare il turismo naturalistico. Un turismo verde, responsabile e sostenibile, che potrà integrare e arricchire di contenuti il turismo rurale, già significativo per alcune aziende della Tenuta, creando nuove occasioni di reddito e di conoscenza del territorio, da custodire come esempio cristallino della convivenza feconda fra uomo e natura.

Legambiente Toscana
Circolo Legambiente Pisa
Legambiente Valdera ETS
Legambiente Versilia

manifestazione “NoBase” a coltano

“Nessuna base per nessuna guerra”, questo lo slogan di Movimento NoBase, né a Coltano né altrove, che giovedì 2 Giugno ha riunito 10mila manifestanti, arrivati da tutta Italia, per protestare contro il progetto della base militare a Coltano.

Il progetto, promosso dal Ministero della Difesa, è stato approvato dal governo che ha pubblicato, il 23 marzo, un decreto legato al PNRR. Il decreto mira ad accelerare alcuni progetti particolarmente complessi, per favorire le opere legate alla difesa nazionale. Le decisioni sull’area di Coltano sono state prese senza preavviso e con scarse comunicazioni alle istituzioni del territorio: di fatto una decisione imposta dal governo.

Il progetto prevede di raggruppare il Gruppo di Intervento Speciale dei Carabinieri (Gis), il 1° Reggimento Paracadutisti “Tuscania” e il Centro Cinofilo dell’Arma. I piani del Ministero della Difesa sono quelli di allargare l’area militare dismessa dell’ex centro radar (dove Guglielmo Marconi nel 1931 fece partire il segnale che fece illuminare il Cristo Redentore a Rio de Janeiro) per occupare un territorio di 730mila metri quadrati, includendo nell’area anche la Villa Medicea costruita del 1586. Secondo le previsioni, nella base sarebbero costruiti i nuovi comandi dei reggimenti, due poligoni di tiro, edifici per l’addestramento del personale militare, magazzini, uffici, oltre che un laboratorio, 18 edifici residenziali e una pista di atterraggio per gli elicotteri. Una significativa parte dei nuovi edifici dovrebbe essere realizzata all’interno del Parco regionale Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli, in una zona definita ”agricola di recupero ambientale”, sottoposta a vincoli ambientali. Costo stimato dell’opera? circa 190 milioni di euro.

Per questo migliaia di persone e decine di bandiere, fra cui Legambiente Italia e Legambiente Valdera, dopo una raccolta di 100mila firme, si sono date appuntamento giovedì 2 giugno, alle ore 14.30 di fronte alla Villa Medicea. Il corteo ha poi proseguito in un percorso ad anello all’interno dei confini del Parco naturale di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli. Ma niente è perduto, il “Movimento NoBase, né a Coltano né altrove” continua la mobilitazione e verranno sicuramente messi in agenda incontri con il Governo, la Regione e il Comune di Pisa.

Allevamento Ai Fabbri

13/11/2020 Arpat e le maleodoranze

Anche l’Arpat conferma le maleodoranze già segnalate dagli abitanti della zona de i Fabbri, a Treggiaia; L’odore di letame proveniente dalla stalla rende inquinata l’aria respirata dai cittadini, rendendo difficile il vivere vicino non potendo neanche aprire le finestre.. inoltre, i proprietari hanno intenzione di ampliare il fondo con altre stalle.. cliccare qui per l’articolo:

>> quinewsvaldera.it – arpat e le maleodoranze ai fabbri

Allevamento 7 volte più grande

I residenti di Treggiaia e, in modo particolare, quelli de I Fabbri ricorderanno questo 2020 anche per essere l’anno in cui agli odori tipici della campagna Toscana (i fiori, il fieno, la terra bagnata e l’aria pulita) si sono sostituiti i miasmi provenienti dall’attività di allevamento industriale di bovini e bufalini che si è insediata nella periferia tra Pontedera e Ponsacco.

L’attività di allevamento è iniziata nelle ultime settimane del 2019 presentando una semplice SCIA con la quale è stato autorizzatol’allevamento in stalla di 600 bovini adulti ma, visto che l’azienda agricola alleva vitelli, il numero di animali detenuti è molto superiore. La modalità di gestione di questo gran numero di animali nella stalla è estremamente importante in quanto può essere la causa di rilevanti problematiche ambientali, così come lo spandimento sul terreno dei reflui zootecnici.

Per monitorare la qualità dell’aria il comune di Pontedera ha chiesto all’azienda agricola di installare una centralina nella zona de I Fabbri, ma a distanza di mesi non vi è traccia di questo dispositivo e non è stato possibile reperire alcuna informazione né sui rilevamenti fatti né sulla frequenza dei campionamenti, peraltro neppure ARPAT è a conoscenza di questi dati visto che non è stato stipulato alcun accordo con tale ente di controllo.

In molti si sono anche chiesti come sia possibile parlare di “benessere” per gli animali rinchiusi per tutta la loro breve vita in una stalla. Legambiente denuncia da tempo come l’etichetta “benessere animale”, rilasciata dal CreNBA, sia forviante e spesso utilizzata a scopo di marketing, in quanto non considera la tipologia di allevamento e questo può ingannare i consumatori non fornendo informazioni utili sulle condizioni di vita degli animali. Sapere se un animale è stato allevato in una stalla al chiuso, in spazi estremamente confinati o al pascolo è infatti una informazione fondamentale per chi decide di mangiare carne.

Ma quali sono le prospettive future? 

La risposta a questa lecita domanda, fatta da chi ha acquistato casa in un luogo dove fino ad un anno fa nessuno immaginava problematiche simili, viene dal Programma Aziendale Pluriennale presentato dal titolare dell’azienda agli enti preposti alla sua valutazione.  L’azienda agricola aveva reso noto di voler realizzare un impianto a biogas per ridurre i cattivi odori della stalla ma ha sempre tralasciato di dire che, oltre a tale impianto, vuole costruire altre 4 stalle, vicine all’attuale, portando così a 4400 il numero di posti disponibili per i bovini destinati alla macellazione. 

Come è possibile costruire una simile industria a pochi metri da una zona residenziale?
Invitiamo ASL, ARPAT e Comune a proseguire la propria opera di controllo e approfondimento
garantendo la massima trasparenza in merito alle informazioni di carattere ambientale in modo da tutelare le centinaia di famiglie residenti nella zona.

Pontedera, 22 ottobre ’20

Il Direttivo di Legambiente Valdera

Liberi dai fanghi

No allo smaltimento nei campi,
neanche in emergenza

Da un mese il tema della gestione dei fanghi da depurazione anima il dibattito sulla tutela dell’ambiente e della salute, dopo che l’art. 41 del decreto sulle Disposizioni urgenti per la città di Genova e altre emergenze, ha introdotto un limite alla presenza di idrocarburi nei fanghi medesimi, che supera di 20 volte il limite fissato in precedenza da una sentenza della Corte di Cassazione.
Come associazioni impegnate nella campagna “Liberi dai Fanghi”, vogliamo sottolineare alcuni aspetti che non hanno ricevuto la necessaria attenzione nel dibattito.
Il Decreto Genova si è occupato del solo limite relativo agli idrocarburi “pesanti”, individuati dalla sigla C10-C40, ma lo ha fatto specificando che il limite si applica al fango tal quale, cioè al fango appena uscito dal depuratore. Per tutte le altre sostanze però per cui la legge prevede dei limiti, questi si applicano alla sostanza secca, che è quella che viene sparsa nei campi, e non al “tal quale” che è il fango prima di essere trattato. Un bel rompicapo, specialmente per chi deve fare i controlli.
Il criterio applicato poi, che individua la cancerogenicità degli idrocarburi in base a parametri di concentrazione e non sulla base della tipologia (ci sono idrocarburi di origine naturale ma nei fanghi si ritrovano anche quelli di origine industriale), è contestato da molti medici e scienziati che ritengono che l’unico limite accettabile per le sostanze cancerogene sia ZERO.
Nulla ha poi cambiato il Decreto Genova né sui controlli, che sono spesso scarsi e poco efficaci per mancanza di risorse e personale delle strutture pubbliche che li dovrebbero fare; né sulla procedure di autorizzazione allo spandimento, che in tutta Italia si basano sull’ autocertificazione da parte dei trasportatori, della qualità del materiale da spargere nei campi.
Il tutto, in una situazione di tecnologie vecchie di decenni, e con impianti fognari che mischiano reflui civili e industriali, facendo sì che nei fanghi di depurazione si possa trovare di tutto. Quindi i fanghi di depurazione civile, pur contenendo materia organica utile, allo stato attuale sono spesso contaminati da varie sostanze inquinanti e pericolose, e la cosa più dannosa che si può fare è usarli per coltivare le piante che producono il nostro cibo. Infatti alcuni paesi europei hanno vietato questo uso.
Ma mentre la polemica sugli idrocarburi proseguiva, nella conversione in legge del decreto “Genova” è stato approvato alla Camera un emendamento presentato da Lega e M5S che consentirà di spandere nei campi anche fanghi contenenti diossine, PCB, cromo, arsenico, tutte sostanze cancerogene certe per l’uomo. Si tratta di sostanze che provengono da processi industriali e quindi non dovrebbero stare nei fanghi di depurazione civile, tantomeno essere depositate nei campi. Alcuni dei limiti proposti sono così alti, che se si trattasse di fanghi industriali si potrebbero smaltire solo in discariche per rifiuti industriali, dopo adeguato abbattimento degli inquinanti, mentre nell’emendamento si consente di spanderli nei campi dove si produce cibo! Ci auguriamo che questa pazzia non sia confermata al Senato, altrimenti i danni per la salute di tutti saranno irreparabili.
Lo smaltimento dei fanghi in agricoltura, a nostro parere, potrà essere fatto solo in totale sicurezza per l’ambiente e per la salute dei consumatori. Se nei fanghi rimangono sostanze nocive e persistenti che con la tecnologia attuale non si riesce a separare e recuperare, occorre che a livello nazionale e europeo si realizzi un programma di ricerca e di investimenti per ottenere una reale depurazione, e non una circolarità che spesso si traduce nello spargimento di sostanze nocive per ogni dove, come la vicenda dei fanghi dimostra.
Intanto, in attesa che il parlamento modifichi il contenuto del decreto, i fanghi dovranno continuare ad essere inertizzati e smaltiti in discarica, perché se un prodotto della nostra civiltà è dannoso, non si può far finta di nulla oppure nascondersi dietro gli alti costi di smaltimento.

Liberi dai Fanghi, Pontedera 2 novembre 2018

La campagna «Liberi dai fanghi» è promossa da:

Associazione “Chiodo fisso – dare voce a chi non ha voce”

Associazione “Eliantus – volontari per l’ambiente”

Associazione “Orizzonte comune”

Coordinamento Gestione Corretta Rifiuti Valdera
Legambiente Valdera

Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, coordinamento provinciale di Pisa

Medicina Democratica
Slow Food Valdera

TAT movimento tutela ambiente e territorio Montefoscoli

WWF alta Toscana

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Situazione rifiuti – no al raddoppio di Scapigliato

Comunicato stampa dei Circoli Legmbiente : Costa Etrusca, Livorno, Pisa e Valdera
SCAPIGLIATO: DOPO L’INDAGINE E’ URGENTE LA BONIFICA;
IL RADDOPPIO VA BOCCIATO
L’indagine sul traffico dei rifiuti nel livornese ha mostrato la “disinvoltura” e il totale disprezzo
delle leggi e della salute dei cittadini da parte di alcune aziende che gestiscono un settore da cui
possono derivare gravi danni alla popolazione e all’ambiente.
Ci sono però due aspetti che non sono emersi adeguatamente:
1) la parte sud della provincia di Pisa e la vicina discarica di Scapigliato in provincia di Livorno
smaltiscono, in un territorio che è meno del 5% dell’intera Regione, il 50% dei rifiuti solidi urbani
toscani e quantità elevate di rifiuti industriali (e anche il 50% dei fanghi di depurazione, ma questa è
un’altra storia e un’altra indagine).
2) la maggior parte degli impianti, principalmente discariche, in cui questo smaltimento avviene,
sono sottoposti a progetti che ne prevedono il raddoppio: Peccioli, Bulera, Scapigliato appunto, con
l’intento di perpetuare per altri decenni la destinazione di questo territorio a luogo di smaltimento
dei rifiuti di mezza Toscana.
Nella discarica di Scapigliato, l’indagine della Procura Distrettuale Antimafia di Firenze ha
appurato che sono state smaltite ingenti quantità di rifiuti tossici e nocivi senza nessun trattamento,
con grandi rischi sanitari e ambientali.
E’ quindi necessario che si proceda quanto prima alla bonifica della discarica, a spese delle
aziende che vi hanno smaltito abusivamente rifiuti non trattati, e tramite l’escussione delle
fideiussioni che dovrebbero essere state depositate a garanzia della corretta gestione dell’impianto.
Ed è necessario che si gestisca la fase del suo esaurimento, bocciando definitivamente il progetto
di ampliamento, come chiedono giustamente da tempo il Comitato Difesa Ambiente delle Colline
e il Coordinamento Rifiuti Zero. Occorre avviare serie politiche di riduzione, raccolta differenziata
e riuso/riciclaggio dei rifiuti.
Come prevedono le norme comunitarie, lo smaltimento in discarica deve drasticamente diminuire.
Noi aggiungiamo che questo è ancor più necessario, in un territorio che vede una concentrazione
troppo elevata di impianti.
Il raddoppio degli impianti non è ammissibile mentre è necessario spingere sul recupero e il
riciclaggio, potenziando i controlli sulle filiere dello smaltimento.
Legambiente circoli Costa Etrusca, Livorno, Pisa e Valdera
24/12/2017

Assemblea annuale del circolo 24 novembre 2017

Il 24 novembre 2017 alle ore 18 presso il circolo Arci “Il botteghino” si è tenuta l’assemblea annuale dell’associazione, dove si è parlato delle attività che hanno caratterizzato questo 2017: dalle vertenze sui fanghi in agricoltura, a quelle contro le trivelle selvagge

Si sono approvati i bilanci ed è stato rinnovato il direttivo dell’associazione  composto da:

  • Sergio Bellagamba
  • Luciano Carlotti
  • Alberto Castellani Tarabini
  • Raffaello Corsi
  • Carlo Galletti
  • Nedo Ricci
  • Donatella Salcioli

 

Dopo l’assemblea si è riunito il nuovo direttivo che ha nominato presidente Luciano Carlotti e segreterio Sergio Bellagamba.